La tradizione del 19 marzo a Riccia (Cb)

(a cura di Jessica)

Il 19 marzo è San Giuseppe a Riccia, un paese della provincia di Campobasso, è il luogo di bontà culinarie legate proprio alla celebrazione del Santo. E oggi vi racconto una tradizione che vede le sue origini nella leggenda di San Giuseppe. Un uomo vecchio e povero girava di paese in paese chiedendo  accoglienza ma veniva ignorato da tutti. Quando giunse a Riccia trovò finalmente ospitalità da parte di un uomo che lo accolse in casa sua. Questi non era certamente benestante, ma comunque scelse di dividere con il poverello tutto ciò che possedeva in dispensa, a partire dai legumi coltivati nel suo orto, particolarmente i ceci. Un giorno il povero uomo fu finalmente riconosciuto dai cittadini riccesi: era Giuseppe.

Il Santo è così venerato nel borgo molisano, la cui devozione si celebra non una, ma due volte l’anno, il 19 marzo e il 1 maggio, Giornata di San Giuseppe Lavoratore.

I festeggiamenti prevedono una messa, una processione per le strade del paese e un grande pranzo che riunisce ogni famiglia attorno a una bella tavolata imbandita a festa.

Il pranzo tipico è composto da ben tredici pietanze, a base di carne, pesce, latticini e cereali. Non mancano, ovviamente, i legumi, simbolo di devozione nei confronti di San Giuseppe. I calzoni, o cavuzune, non fanno parte delle tredici portate, ma sono considerati una semplice creanza, un omaggio che ci si scambia in ogni dove.

Prima che il pranzo abbia inizio, vengono recitate alcune preghiere e in seguito un uomo sposato, che rappresenta San Giuseppe, riempie il primo bicchiere con del vino, assaggia un pezzo di pane, e passa entrambi prima al bambino o ragazzo che rappresenta Gesù, poi alla donna che rappresenta la Madonna. Questa, infine, passa a sua volta il bicchiere e il pane al resto dei commensali che a loro volta assaggeranno. Finito il giro, il bicchiere torna indietro per far cominciare il lauto convivio. Terminato il pasto, si recitano nuovamente le preghiere per ringraziare San Giuseppe di quanto si è ricevuto nell’anno e per invocarne la protezione sulla famiglia e sulla comunità.
Il pranzo si apre con un tarallo semidolce per poi proseguire con un piccolo antipasto a base di giardiniera di verdure fatta in casa. Mai mancano sulle tavole della festa gli spaghetti con la mollica del pane cotto a legna e fatto in casa, piatto povero simbolo di generosità e accoglienza. E la mollica ripiena la ritroviamo anche nei peperoni imbottiti. Alla fine si offre ai santi un cesto contenente una pagnotta di pane, un assaggio delle pietanze servite durante l’abbondante pasto e un numero dispari di calzoni.

 

 

I preparativi di questa bella ricorrenza hanno inizio già qualche giorno prima: in ogni casa, in ogni vicolo, in ogni strada vengono allestiti alcuni altarini con una immagine di San Giuseppe, uomo simbolo di amore paterno e di famiglia. I calzoni che prendono il suo nome sono fatti interamente a mano, come tradizione vuole: una spianatoia e “olio di gomito”, nessun macchinario, solitamente. Formati da sfoglie, esse vengono singolarmente prodotte a mano, una a una. La pasta, altamente friabile, ha un colore leggermente dorato. Il ripieno, vellutato e cremoso, è a base di ceci. Il miele dona loro un dolce profumo, così come fanno la cannella, il cedro, la vaniglia, la buccia di arancia o quella di limone. I ceci presenti all’interno vengono setacciati e impastati a mano. Per la loro realizzazione se ne conservano per tempo i migliori del raccolto. Nei giorni che precedono la festa ci si organizza in gruppi di donne per cuocerli e preparare ripieno e sfoglia.